sarograsso.it - le scenografie del pensiero

Vai ai contenuti

Menu principale:

Antonio Cacciola

Antologia Critica
ANTONIO CACCIOLA - Attenersi ai fatti. Conviene


Lasciarsi senza indugio alcuno alle spalle la vanitosa tentazione del deplorevole esercizio dell'indagine benevola, in ogni modo malevola, a proposito degli antecedenti. La ricerca del gambero attraverso il filo nero e tortuoso della storia: dell'arte in questo caso. Giaculatoria di citazioni colte. Impressioni personali, confutabili ad ogni minima curvatura del pensiero. Noiosa e pedantesca prolusione del narcisismo critico.
E' inevitabile. L'opera è costretta suo malgrado a trascinarsi dietro la propria e l'altrui storia. Nascendo priva di verginità. Stride la ferraglia del conflitto che ne mutila l'innocenza tra le ragioni dell'autore e dell'osservatore, entrambi prigionieri del proprio sapere: entrambi inesorabilmente meschini esuli dall'infante. Penso, quindi son cieco.
Tra l'opera e lo sguardo danzano i cinici demoni della conoscenza ...
C'è troppa consuetudine alle domande: un'irrequieta necessità di voler conoscere il perché d'ogni cosa. Certo, quando il mondo ha smesso di stupire, ha iniziato a terrorizzare. Da quel momento in poi divenne urgente dare un senso ad ogni cosa. Spiegare ogni cosa e dare una ragione a tutte le cose.
Nondimeno.
Ha senso guardare l'arte -e non solo essa ovviamente- con i lumi della ragione? Ha senso dare una ragione all'arte e farsi una ragione dell'arte?
Sta proprio qui il punto. L'arte può avere una ragione? Il paradosso è che ogni essere ragionevole risponderebbe di no. L'arte è l'irriducibile alla ragione che ritorna nel mondo. Ma, ci ritorna ad arte. Ecco: l'arte è l'irragionevole fatto ad arte: è espressione matura e consapevole dell'irragionevole.
I tentativi si possono spiegare. Tutte le prove che conducono faticosamente l'artista verso una sia pur provvisoria maturità e ad una sia pur temporanea consapevolezza necessitano di spiegazione: attendono un senso per giustificare la loro presenza nel mondo.
Le parole sono solo il girello di un'arte che non ha ancora imparato a camminare. Certe volte non sono che stampelle per quanto di irrimediabilmente zoppica.
Per guardare un dipinto occorrono due cose: una buona vista e una buona luce. A pensarci bene le due cose sono solo una: la buona luce. Le parole non servono in quel magico momento quando tra un dipinto e un'anima può sgorgare la più silenziosa fra tutte le comunicazioni possibili. Nell'immediatezza della comunicazione visiva dove segno/significato coincidono, non sono ammessi mediatori. Il piacere dell'arte, è esperienza individuale. In quel raro momento, di rari casi, sono dannose le parole: tutte: quelle della critica e quelle dell'autore. In altre occasioni, lontano dalle intersezioni magiche tra l'opera e lo sguardo, squillino pure tutte le trombe degli ambasciatori di pensiero.
Hanno subito una definitiva decantazione i tessuti contenuti in questi dipinti. Hanno superato il confine di non ritorno, dove la materia precipita e si dissolve nella propria apparenza. Essere o Apparire non è più un quesito nel regno dove solo ciò che appare è: e l'alternativa -apparente- vive soltanto tra l'Apparire e l'Impensabile/Nulla.
Tuttavia non è semplice a nessuna sostanza che si pensa corpo -o a nessun corpo che si crede sostanza- oltrepassare quel confine ed esiliarsi in quel regno.
Circostanze favorevoli richiede l'angelo guida.
Forse accade in quei popoli e in quegli uomini che non hanno ancora perso il senso dello stupore. Forse accade in certi momenti dell'infanzia. Forse accade in coloro che hanno attraversato dolorose selve, scalato aspre montagne, abitato profonde caverne, conosciuto acrobati, baciato giocolieri,... incontrato un angelo della notte...
Forse accade senza un perché. Forse l'angelo guida aveva gli occhi bagnati di pianto.
Le poche prime chiuse, fisse crisalidi hanno spiegato le grandi ali luminose, trasparenti brillanti. Un battito di colori che si dispone talvolta quieto, talvolta frenetico, talvolta impetuoso all'interno dei due opposti movimenti regolatori dell'ordine geometrico e della disarmonia accidentale. Si generano: ora flussi in divenire che la tela non vuole e non può immobilizzare; ora instabili edifici-artifici di esuberanti ordinamenti pittorici pronti ad implodere verso ignoti punti di origine, nascosti oltre la superficie del quadro; e ancora altri ordini di masse cromatiche subiscono un inverso movimento, sottoposti ad un'attrazione esterna che ne impone una simmetrica curvatura. Seppure in assenza di qualsiasi applicazione prospettica, si producono inusitati e variabili fenomeni di profondità visiva.
Una segreta alchimia sembra gestire il complesso gioco delle profondità e del sistema di forze percettive di compressione ed espansione di queste superfici sia dipinte che assemblate.
Frammenti esotici di popoli che non hanno perso lo stupore si specchiano su questi dipinti. Ma non sono metafore. Non sono allusioni. Nemmeno ruffiane citazioni: qualcosa di simile ad un sinistro scricchiolio della tela ne rivelerebbe l'agire mendace. Sono affioramenti tettonici d'accidentali maremoti dell'inconscio. Superficiali placche sollevate dal ribollire delle pozioni magiche dell'anima, con le quali cerca sollievo l'esistenza: caos primitivo e inquieto di profonde tensioni galleggiante sull'ondeggiare di qualche ignoto rassicurante mito. Questa sembra la strada seguita per un ritorno alle più antiche e comuni origini, per uno dei possibili recuperi dell'innocenza primitiva. Un tentativo azzeccato di riguadagnare il gusto perduto per l'inspiegabile cielo stellato e sangue che pulsa.
Galassie scintillanti in esplosione o colate laviche come sangue della terra non vi vanno ricercate, per placare l'ansia da significati in agguato. Se per caso, invece, dovesse accadere di vederle sarà una rivelazione del senso del mistero risvegliato.

Acitrezza 2000

Antonio Cacciola


Torna ai contenuti | Torna al menu