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Guerrino Mattei - Le scenografie del pensiero

Presentazioni
GUERRINO MATTEI -Presentazione tratta dal catalogo LE SCENOGRAFIE DEL PENSIERO


Definire un'opera, soprattutto se   ben condotta e connotata,  comporta una serie di ragionamenti che ruotano intorno a ciò che si conosce o a quanto visivamente ed emotivamente si percepisce.
Nella mente dell'osservatore nasce una specie di incontrollata curiosità che il pensiero adduce a motivazioni personali, ad incantamenti  non sempre spiegabili e traducibili.
Il pensiero ha le sue scenografie dietro le cui quinte  l'intuizione prende forma per poi essere rappresentata nel palcoscenico della visibilità, nel teatro che la delimitazione perimetrale della tela comporta e che in ultimo la cornice conchiude.
Non c'è mai disdoro in ciò che l'artista rappresenta se non la ricerca di un linguaggio espressivo che dia perfezione a quanto fabulato e narrato successivamente.
I graffiti preistorici  delle caverne  sono ancora oggi l'esempio di come la pittografia  avesse funzione di linguaggio e quanto la differenziazione minuta di una descrizione animale servisse ad individuarne la specie. Rappresentare un quadrupede   voleva  una forma che ne differenziasse la struttura   tanto da poter capire,  per fare un esempio, se era cervo o alce, il tutto dalla minuziosità descrittiva  della ramificazione del palco  corneo.
Tutto questo  nasce nel  pensiero e si manifesta attraverso il racconto  e la decifrazione della forma.
L'artista Saro Grasso per vie diverse, ma certamente riconducibili al discorso iniziale, si  è incamminato dopo anni  di lavoro, ricerca continua sulla materia e sperimentazione cromatica,  a decifrare  in modo visivamente accreditabile un operato  guidato dalla mano dell'artista e insieme dell'artigiano  per privilegiare una  esternazione  meramente creativa.
Siamo davanti ad opere  la cui lettura  appare come una grande toponomastica dell'umanità, ove i percorsi sono labirinti aperti,  i cui tracciati li rendono evidenti e transitabili. Ma la domanda spontanea di chi  privilegia  l'iconico  all'aniconico (cioè figurativo o astratto) è la seguente: si può parlare senza linguaggio, si può scrivere senza sintassi, si può rispondere senza capire? Tutto questo si può, sempre che la chiave d'interpretazione sia inserita nella toppa della verità e non in quella   semplicistica della mistificazione.
Tutte le trasformazioni del linguaggio pittorico che iniziano nel XIX secolo e si approfondiscono nel secolo successivo, relative sia alla forma che al colore, agiscono nello stesso senso: svincolano la pittura da ciò che ne faceva un'arte d'imitazione. Per le  nuove generazione il contenuto narrativo è relegato in secondo piano e il quadro interessa di per sé. Ecco perché spesso nella pratica la figurazione s'incontra con l'informale, senza una particolare intenzionalità.
Nell' arte di Saro Grasso non mancano esempi di astrazione occasionale, momentanea, pur rimanendo  fondamentalmente un artista figurativo. Nelle sue "autostrade" del pensiero, ove le sinapsi, intese come coordinazione cromatica, saldano il linguaggio alla natura, tutto è percorribile verso un assoluto che non si sostanzia di novità ma di rigenerazione figurale, nella quale  il segno è un pretesto e il colore l'asserzione di un proponimento che nascono da una profonda meditazione estetica, manifestata fin dai primi anni del suo viaggio creativo.
Grasso sembra spinto da un desiderio violento di fare tabula rasa del passato, di quel periodo identificabile con la riperimetrazione di un soggetto agli occhi deputato e alla moda prestato per un'apoteosi effimera, nel quale tutto si appella al bello  connaturato nel veduto, nello scontato, il tutto  imposto da una visione volutamente programmata.  La costruzione rigorosamente spoglia che vagheggia fantasie di civiltà passate, riscontrabili in termini  incisivi in quel riattraversamento di  culture  andine,  quasi primordiali, invece di irrigidire le forme le lascia come in sospensione e lo spazio che le promuove appare nel risultato carico d'interrogativi.
Discettando ancora fra  figurazione e non figura, disseminando nella pittura tutti quegli sbigottimenti che non sono più patrimonio interiore dell'artista nell'atto dell'esternazione effigiativa, viene da domandarsi se tutto è vero a distanza in quell' area denominata storica. Saro Grasso ci propone e ci racconta la sua verità vigorosa, maturata e processata  attraverso esperienze personali.  Narra ed indica nelle opere  come  distinguere le sue scenografie,  nelle quali si possono marcare con un cromatismo acceso linee di confine che vanno intese come punti di riferimento  entro i meandri della memoria, anche attraverso  i labirinti del mistero.
Nelle opere di questo artista, giunto alla pittura per vocazione sofferta più che per folgorazione divina, la necessità di dare animisticamente vita alle sue trattazioni la ritroviamo nella coerenza di quanto manifesta, in quell'unità stilistica che  si propone  come una vasta retrospettiva, ove il tempo aggrega ogni esperienza e  la ragione ne  persegue il trionfo.  Timbro e tonalismo, con una forte propensione ai colori robusti ove la luce  concorre  alla vividezza della composizione, si affrontano e scontrano in un' insiemistica che ricorda l'affresco e la versatilità dei maestri  rinascimentali.
Chi non ha parentele  è figlio di enne enne. Questo vale anche per i pittori, per tutti coloro che iniziano un cammino nel quale, per dirla con il sommo poeta fiorentino,  in loro  "piccola favilla  (se geniali) gran fiamma seconda". Noi crediamo che  bisogna osservare il mondo dell'arte per capire,  seppure in parallelo o nella continuità di un tracciato che ne qualifica scuola, accademia  o maniera e sceverare  quel ruggito che l'artista  erutta nel regalare alla storia  il futuro del cammino. Chi più di Leonardo da Vinci ha fatto questo, e chi meno di lui si è visto vanificare il lavoro in quanto creatività, ricerca, esperienza, costrizione temporale! Delle  sue opere gran parte sono andate perdute, ma  l'indicazione di una strada ha aperto all'inventiva percorsi infiniti nel mondo della forma e nella continuità interpretativa.
Con queste aperture epifaniche sull'artista, a volte volutamente arbitrarie, il fruitore se non vede il tessuto innovativo deve pensare ad una specie di disturbato mentale, ad un uomo che nella pittura scarica gli istinti peggiori prospettando figurazioni nevrotiche, senza nessun costrutto creativo o quanto meno dagli esiti, seppur apprezzabili, occasionali. Il pittore Grasso non è questo e neppure la negazione di quanto è stato detto e scritto del suo linguaggio creativo. Egli sa perfettamente che anche la nostra voce aggiunta al coro non cambia minimamente la sua "irrazionale" creatività  e la voglia innata di scoprire e di riprodurre.
Per lui svegliarsi la mattina e regalarsi uno squarcio di buon umore è come bere un caffé per cominciare un giorno forse uguale all'altro, ma dissimile nelle sensazioni e nel divenire del sole in attesa della luna. Per anni ha tenuto dentro un mondo di colori, di immagini inespresse che bussavano prepotenti per alzare il sipario del suo palcoscenico e rappresentare l' incanto vissuto e meditato fin da bambino nel rimirare ed assimilare umori, colori e il trascorso della gente che lo circonda. Ma come dare volto a tutto questo? Come reggere chi da dentro vuole    recitare la sua parte quando  da anni si è stati in attesa dell'evento? Allora Saro prepara il proscenio con una tavolozza ardita, "svalvolata" (per usare un termine giovanile che sostituisce  caotica), e prova a raccontare, ad intessere la parte per ogni visione che rappresenta. In questo senso i collage, le strutturazioni   e quant'altro  materializzato  sono  le scenografie del pensiero, la forza evocativa della ragione adulta, del sogno concretizzato. Per chi fa il critico militante da tanti anni, spesso anche disincantato, queste affermazioni ci sembrano le colonne portanti  del suo lavoro libero, sereno, senza albagie sottese di grande innovatore nell'arte contemporanea, ma presente.
Come sono queste  opere? Quanto valgono? Ci viene spontaneo rispondere: se gli occhi vedono  immagini che rallegrano emotivamente l'anima, facendo volare la fantasia,  non c'è valore che può essere denunciato a raffronto. L'opera è grande per ciò che suscita e non per quanto in termini venali rende.
La verità-arte di Saro Grasso consiste nel dare poco conto ai giudizi, nell'essere disposto ad ascoltarli e nel licenziare con garbo chiunque, rafforzando la certezza che il suo lavoro segue coerentemente quanto nelle opere annunciato. Apprezzamenti e compiacenze di convenienza l'artista li lascia a chi sa servire più padroni e a chi non pensa. Il parco ed enigmatico sorriso di commiato è più eloquente di un saluto.


Roma, 8 ottobre 2007

Guerrino Mattei


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